La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13525 del 20–22 maggio 2025, ha ribadito un principio ormai consolidato: il trattamento di fine rapporto (TFR) può essere anticipato solo una tantum, nel rispetto delle causali rigorosamente previste dall’art. 210 c.c., con limiti quantitativi e temporali ben definiti.
▶️ Nel caso specifico, l’azienda aveva adottato una pratica di anticipazione mensile e senza specifica causale, trasformando di fatto il TFR in compenso corrente. Questo ha generato due importanti conseguenze:
Le somme erogate, privi di giustificazione, assumono natura retributiva, con la conseguente obbligazione contributiva .
La stella polare rimane l’una tantum, all’interno di precisi limiti percentuali (in genere fino al 70%) e previo periodo minimo di servizio (tradizionalmente 8 anni) .
💡 Cosa significa per i giuristi del lavoro e le imprese?
Per il consulente del lavoro: serve vigilanza sull’erogazione di importi forward su TFR. Anticipazioni ricorrenti possono innescare revisioni contributive o, peggio, controversie con l’INPS.
Per le imprese: utilizzare questa pratica non solo le espone a obblighi contributivi imprevisti, ma infrange i parametri normativi dell’art. 210 c.c.
Per i lavoratori: è un elemento di tutela: garantisce che il TFR resti una prestazione differita, e non un salario mascherato.
📘 Riflessioni:
Il caso riporta in primo piano l’attenzione sulla profonda distinzione tra componente retributiva e TFR, due fenomeni giuridicamente distinti.
È un promemoria: l’autonomia negoziale non può oltrepassare i limiti legali. L’art. 210 c.c. finisce per essere la cornice invalicabile.
Riflessione finale: occorre un maggiore conteggio consapevole tra flessibilità aziendale e rispetto delle norme di welfare. Il TFR è un pilastro del sistema “garanzie passive” e merita tutela.